giovedì 3 aprile 2014

TIPI DI BELLEZZA


Perché alcune esseri, in parte sono belle e in parte sono brutte? Perché altre esseri alle volte sembrano belle, e alle volte sembrano brutte? Oppure, alcune cose sono belle riguardo a qualcosa, ma in relazione ad altre cose non lo sono?
«Ciò che è bello si attribuisce a Dio»[1]. A Dio si attribuiscono «il bello» (ciò che è bello) e «la bellezza» (bellezza come proprietà) in maniera diversa che nelle creature: In Dio entrambi sono attribuiti insieme perche «Dio abbraccia entrambi come un’unica e sola cosa»[2], mentre nelle creature «il bello e la bellezza si distinguono secondo la maniera del partecipante e del partecipato»[3].
Così possiamo affermare che ci sono due tipi di bellezza: la Bellezza in sé, Dio; e la bellezza partecipata, quella delle creature. 

«Il Bello si dice di Dio». Si dice in due modi: per eccesso e per causa[4]. L’eccesso è doppio: uno si trova nel genere (pulcherrimus), che si trova nelle creature, e l’altro si trova fuori del genere (superpulcher)[5], che è proprio di ciò che trascende le categorie. Allora, Dio si dice simultaneamente «pulcherrimus et superpulcher», Questo vuole dire che Dio si trova nel genere? No, ma significa che «a Lui sono attribuite tutte le cose di qualsiasi genere che siano»[6].
Ora, se tutte le creature partecipano della bellezza divina, ci chiediamo: perché alcune, in parte sono belle e in parte sono brutte? Perché altre alle volte sembrano belle, e alle volte sembrano brutte? Oppure, alcune cose sono belle riguardo a qualcosa, ma in relazione ad altre cose non lo sono? Infine, perché un essere può essere bello in un luogo, e in un’altro no?  Ad esempio la mano sinistra di Cristo del dipinto «la Piedad», di Fernando Gallego (1440-1507), è bella; però poi, se vediamo tutto il corpo di Cristo, nel suo insieme, vediamo delle sproporzioni; poi le espressioni di un cadavere sono brutte fa pensare… come mai è possibile questo?
Qua abbiamo rapportiamo la bellezza, o bruttezza, con due aspetti: le proporzioni delle forme e il tema; ora uno non dipende dell’altro perché se le proporzioni o le espressioni corporali sono belle, il tema ancora rimane lo stesso. Un esempio è «La Pietà» di Michelangelo. È evidente che le proporzioni hanno che fare con la bellezza, invece il tema è più complesso: come mai la morte di un uomo in braccia della sua madre può essere bello? La sofferenza può essere bella? Una prima risposta è precisare che il tema non è stato compreso in pienezza, cioè la sua lettura è stata frammentaria. La pietà ha per tema la consegna della propria vita per il prossimo (Cristo) e la consegna di quello più balioso che ha una madre: il proprio figlio (Vergine). Detto ciò dobbiamo chiarificare che la bellezza nel tema è di tipo morale (spirituale), cioè il fatto dell’amore fino all’estremo di donazione. Questo ha un rapporto con la bellezza sensibile (figura, colore, natura...).
Riprendendo la domanda iniziale sulla variabilità della bellezza, dobbiamo dire che ogni essere creato è creato in un modo concreto, e quindi determinato. Questa determinazione limita il suo essere in questo modo di essere concreto, e quindi la sua bellezza ha che vedere con la pienezza di questo modo di essere concreto; se smette di essere quello che gli è proprio, potrebbe essere bello, ma non sempre sarà riconosciuti per tutti come bello. Per rispondere più precisamente dobbiamo andare a capo: la sostanza[7] sta composta realmente di essere ed essenza[8]. L’essenza limita l’essere in questo modo di essere concreto, lo determina e individualizza dentro di un ordine ontologico. L’essere in sé dice perfezione; invece l’essere limitato da questa essenza dice perfezione di quest’ente. Nell’ente sostanziale finito (le creature) l’essenza, a sua volta, è composta di forma sostanziale e materia prima[9].  Tomaso dice che:
Nelle creature c’è un doppio difetto di bellezza: il primo è che ci sono cose che hanno una bellezza variabile, come succede nelle cose corruttibili […] e il secondo è che le creature, siccome hanno una natura particolare, hanno a loro modo una bellezza particolare.[10]
Per questo doppio difetto alle volte la loro bellezza è sostenuta dalla quantità, qualità, tempo, relazione, o luogo. Ecco una prima ragione per cui, delle volte, alcuni esseri non sembrano belli. Peró la ragione più potente della diversità, e delle volte la soggettività del giudizio estetico è risolto dalla distinzione tra modus essendi (modo di essere) e il modus cognoscendi (modo di conoscere)[11]; perché la bellezza è lo splendore dell’essere. In modo che, per uno spirito puro (come Dio, pure gli angeli), che capisce immediatamente l’idea nell’esistente ogni essere è bello. Per l’uomo invece, che non è spirito puro ma spirito incarnato, e deve capire d’accordo alla sua natura, cioè conoscenza nella materialità, apartire del sensibili tramite le divisioni. In questo processo l’esperienza estetica, in occasioni si lascia assorbire dalla confusione edonista. Così un colore bello è una delizia per l’occhio, un ritmo vivace da gioia. Anche se ogni essere è proporzionato all’intelletto, questo non indica che lo sia in tutti i sensi. Da questo segue che l’idea interna degli esseri in occasioni non risplenda[12], ma comunque ha un grado di bellezza sotto condizioni determinate.



[1]T. de Aquino, In dionisii de divinis nominibus, E.S.D., Bologna 2004, cap. 4, lect. 5, n. 333: « pulchrum attribuitur Deo ».
[2] Ibid., n. 336: «Deus tamen utrumque comprehendit in se, secundum unum et idem
[3]Ibid., n. 337: «pulchrum et pulchritudo distinguuntur secundum participans et participatum ita quod pulchrum dicitur hoc quod participat pulchritudinem; pulchritudo autem participatio primae causae quae omnia pulchra facit: pulchritudo enim creaturae nihil est aliud quam similitudo divinae pulchritudinis in rebus participata».
[4]Cfr. T. de Aquino, In dionisii de divinis nominibus, n. 341: «pulchrum de deo dicitur; et primo ostendit quod dicitur secundum excessum; secundo, quod dicitur per causam».
[5] Ibid., n. 343: «excessus autem est duplex: unus in genere [...] alius extra genus».
 
[6] Ibid., n. 343:  «non quod sit in genere, sed quod ei attribuuntur omnia quae sunt cuiuscumque generis».
[7] «In filosofia per sostanza, dal latino substantia, ricalcato dal greco ὑποκείμενον (hypokeimenon), letteralmente traducibile con "ciò che sta sotto", si intende ciò che è nascosto all'interno della cosa sensibile come suo fondamento ontologico. La sostanza è quindi ciò che di un ente non muta mai, ciò che propriamente e primariamente è inteso come elemento ineliminabile, costitutivo di ogni cosa per cui lo si distingue da ciò che è accessorio, contingente, e che Aristotele chiama accidente», in wikipedia.
[8] «Il termine essenza (greco τί ᾖν εἶναι, ti en einai, lat. essentia), secondo la concezione aristotelica, significa “ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un'altra cosa”. L'essenza quindi sta ad indicare quelle determinazioni di una cosa, specificate nella sua "definizione", che ne costituiscono la natura (o "specie" in termini aristotelici); che psicologicamente parlando (vedi moderna epistemologia evoluzionistica) corrisponde alla particolare visione della realtà determinata dalle nostre categorie mentali: “gli apparati immagine del mondo”» In wikipedia.
[9] Cfr. T. de Aquino, Summae Theologiae, I q.5, a.1; q.45, a.4; q.90, a.2; De Veritate, q.27, a.1 ad 1; De Potentia, 9, 1.
[10] T. de Aquino, In dionisii de divinis nominibus, n. 345: «Est autem duplex defectus pulchritudinis in creaturis: unus, quod quaedam sunt quae habent pulchritudinem variabilem, sicut de rebus corruptibilibus […] Secundus autem defectus pulchritudinis est quod omnes creaturae habent aliquo modo particulatam pulchritudinem sicut et particulatam naturam».
[11] Cfr. T. de Aquino, Summae Theologiae, I, q.13, a.12 ad 3.
[12] Cfr. J. de Finance, Conocimiento del ser, 196. 202-203.

lunedì 17 marzo 2014

COSA È LA BELLEZZA?



L’uomo per natura cerca di sapere[1]. Ogni uomo e, in qualche modo, ogni generazione cercano la bellezza; però sembra che tra le generazioni siano diversi criteri per dire che una cosa è bella. Che cosa è questo che ci attira e ci appassiona? Cosa è la bellezza? Dove sta la bellezza? Sembra che ogni generazione si fa un’idea di questa, che non è la stessa che quella delle generazioni precedenti. Sarà che la bellezza è soggettiva? Oppure è una realtà d’accordo comune? C’è bellezza? Oppure si dovrebbe parlare di bruteza?
La diversità delle teorie formulate della bellezza si deve alle diverse prospettive a cui è stata considerata. Principalmente tre sono state le posizioni dell’uomo davanti alla bellezza: Alcuni la vogliono produrre, altre la vogliono possedere, e altre la vogliono soltanto contemplare. Il verbo contemplare significa guardare attentamente; e questo è l’azione di applicare la mente con attenzione a un oggetto, materiale oppure spirituale; cioè, avere l’anima assorta nello sguardo e nella considerazione. Ora, l’uomo ha speculato sulla bellezza in tre livelli; cioè le dottrine formulate dall’Estetica, dalla Metafisica e dalla Teologia. L’Estetica ha cercato la bellezza categoriale, dal punto di vista del soggetto che si trova per il giudizio estetico[2].  Invece la Metafisica ha cercato la bellezza trascendentale fondandola ontologicamente nel livello dell’essere, dal punto di vista tanto dell’oggetto come del soggetto.  Da parte sua la Teologia la cerca nel punto più in alto, in Dio, come la Bellezza Perfetta, la Gloria.
La nostra esperienza ci rivela che ci sono esseri belli. La bellezza è quello che visto piace[3].   Peró prima di considerare questa descrizione, indichiamo una considerazione midollare: è stato detto che questo che cerchiamo, cioè, la bellezza, c’è. E lo abbiamo affermato perché il nostro intelletto, nell’esperienza, lo ha concepito come conosciuto. Perciò, la bellezza nella sua esistenza reale si orienta verso un soggetto: il quale è capace di cogliere e si compiace nella sua apprensione. Per questo, il bello, in quanto conosciuto, include polarità. È bello oggettivo nel suo essere lì, ed è, simultaneamente, soggettivo in quanto che è bello per un soggetto che lo contempla.   Detto con maggiore precisione: ciò che è bello include una relazione di ragione, ecco il giudizio estetico. Questa relazione non include necessariamente immanenza in un soggetto. Cioè, il bello non è bello perche qualcuno l’afferma; ma lo afferma perche è bello[4]. 
Prima avevamo detto che la bellezza c’è; e lo avevamo detto perche il nostro intelletto, nell’esperienza della realtà, lo ha concepito come conosciuto[5]. Però ci sono due livelli di bellezza: Categoriale e trascendentale.
Per capire questa distinzione nel tema che ci interessa, possiamo notare, ad esempio, quando vediamo la Pietà di Michelangelo, e ci chiediamo: cosa la fa così bella?  O detto con altre parole, quali caratteristiche o elementi fanno propizia la sua bellezza? Proporzione? Colore? integrità? Tema? Tecnica? Linguaggio artistico? In questo caso cerchiamo la bellezza categoriale o estetica.  Invece, se andiamo più in profondità e ci chiediamo riguardo la bellezza di un essere in quanto essere; in questo caso cerchiamo la bellezza trascendentale[6], la quale è propria di ogni essere secondo il suo proprio livello. Questo vuol dire che si cerca la bellezza che appartiene a tutte le creature[7], però non della stessa maniera. Cioè, che non sono allo stesso livello la bellezza dell’uomo in relazione con la bellezza del caballo; ne la bellezza di un paesaggio in relazione con la bellezza di una pietra; ne la bellezza di una scultura in relazione della bellezza di un fiore.

In breve affermiamo che la bellezza c’è, ed è una realità oggettiva e soggettiva simultaneamente; ora, la sua esistenza dipende dalla parte obiettivo. Sono tre livelli in cui si può parlare di bellezza: livello estetico, livello filosofico e livello teologico. La nostra tesi futura prenderà prima la strada filosófica, poi estetica, e finalmente la teológica.

 


[1] Cfr. Aristotele, Metafisica, libro I.
[2] Baumgarten  ha imposto il nome alla disciplina, ma Kant ha iniziato la sua teoria.
[3] Cfr. T. de Aquino, Summae Theologiae, I, q. 5, a. 4: «pulchra enim dicuntur quae visa placent »; I-II, q.27, a. 3: « pulchrum autem dicatur id cuius ipsa apprehensio placet.».
[4] Se questo è così, perché delle volte alcuni dicono che qualcosa è bella e altri lo negano? La risposta la troveremo quando parlemo piu avanti dei tipi di bellezza.
[5] La bellezza c’è, cioè, è ciò che è. Ciò che è l’ente. Ente è ciò che l’intelletto concepisce per primo. Ciò che è, è l’atto di essere (esse). «L’essere si capisce da ciò che è accidentalmente oppure da ciò che è in se»(Aristóteles, Metafísica, V, 7).  Questo che è in sé, e non in un’altro, è la sostanza.  L’ente non è un genere, per cui, non si può aggiungere qualcosa di reale che si trova al di fuori dell’ente stesso. L’ente ha due tipi di proprietà. Tommaso D’Aquino distingue tra quelle che esprimono un modo particolare di essere, chiamate categorie oppure predicamenti: «uno modo ut modus expressus sit aliquis specialis modus entis»; e quelli che esprimono un modo generale di essere, cioè, che appartengono a tutto l’essere «Alio modo ita quod modus expressus sit modus generalis consequens omne ens» (T. de Aquino, De Veritate, q.1, a.1). Questi ultimi sono quelli che la tradizione scolastica ha chiamato proprietà trascendentali (J. de Finance, Conocimiento del ser, Gredos, Madrid 1971, 96. «El término trascendentales no se encuentra en Santo Tomás». Nota 1, n.26) dell’essere perché trascendono tutte le categorie.
[6] I trascendentali sono concetti, o esseri di ragione, che si riferiscono allo stesso ente. Com’è stato detto non aggiungono nulla di reale all’ente, ma sì aggiungono qualcosa di ragione. Questo primo passo nella dottrina dei trascendentali ci aiuta per capire cosa vogliamo dire quando affermiamo che la bellezza (pulchrum) è un trascendentale (Qui non sviluppiamo la quaestio disputata sulla trascendentalità del pulchrum. Peró questo approffondimento lo si può trovare in: Eco, U., Il problema estetico in Tommaso D’Aquino, Fabbri – Bompiani, Milano 1982. Oppure in Lobato, A., Ser y belleza, Herder, Barcelona 1965. Anche in M. Reyes, Pulchrum, como el culmen del despliegue trascendental del ente, APRA, 2008).
[7] Tutte le creature, e anche al primo motor inmovil, cioè, Dio; però esso non è creatura ma Cratore.



lunedì 3 marzo 2014

ARTE AL SERVIZIO DELLA BELLEZZA


Verso un rinnovato dialogo: «Il legame profondo tra la bellezza e la liturgia deve farci considerare con attenzione tutte le espressioni artistiche poste al servizio della celebrazione»1, benché le espressioni artistiche siano variate in genere, numero e specie. Inoltre lungo la storia, si è formata una visione dell’arte non sempre omogenea. Quello che non si può negare, neanche nella diversità, è che l’infinita bellezza divina e l’arte sacra sono in relazione per le loro nature. Perciò la bellezza deve essere espressa, in qualche modo, dalle opere artistiche dell’uomo destinate alla sfera sacra. Soltanto così sono più orientate a Dio e all’ incremento della sua lode e della sua gloria2. Ora, l’ideale mai ci può astrarre, in senso pieno, dal reale; pertanto con onestà dobbiamo dire che nell’età moderna è stata affermata progressivamente una forma di umanesimo caratterizzato dall’assenza di Dio e delle volte in opposizione a Lui. Questo clima ci ha portato fino al punto di scindere i mondi dell’arte e della fede3, alle volte sembrerebbe in maniera definitiva, perché per alcuni la luce si è spenta. Questo è ragionevole perche fuori dal corpo «la fede perde la sua “misura”, non trova più il suo equilibrio, lo spazio necessario per sorreggersi. La fede ha una forma necessariamente ecclesiale, si confessa dall’interno del corpo di Cristo»4. Eppure anche per quelli che sono al di fuori del corpo la speranza può toccare perché «grazie al sangue di Cristo siete diventati vicini» (Ef 2, 13). Per cui «la vera, grande speranza dell'uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio [...] Chi è toccato dall'amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe “vita”. Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza»5.
La Chiesa cattolica costruisce un ponte con gli artisti. È vero che «le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L'uomo non può mai essere redento semplicemente dall'esterno »6. Nel buio le piccole luci risplendono di più. Il nostro piccolo contributo in questo campo vuol essere il mettere un raggio di speranza, mettendo insieme per mezzo di tre scienze, estetica (arte) , filosofia e teologia; che dialogano con l’uomo d’oggi, quello che già c’era prima nella tradizione. Manca ancora la risposta personale e libera per quelli in cui la luce si è spenta, perché questa speranza mostrata in un’arista di incontro brilla soltanto se è accolta. La nostra non è una novità nel contenuto o nella forma, ma è un’originalità di sintesi.
 
Più prospettiva in: http://spazioetemposacro.blogspot.it/


Foto: G. Gasparro, Altare di San Massimo di Aveia. http://www.giovannigasparro.com/

1 Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, Esortazione Apostolica Postsinodale, n. 41.
2 Cfr. Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, Constituzione sulla sacra Liturgia, 122.
3 Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti,n.10.
4 Francesco I, Lumen Fidei, n.22.
5 Benedetto XVI, Spes salvi, Lettera enciclica, n.27.
6 Ibid., n. 25.