lunedì 17 marzo 2014

COSA È LA BELLEZZA?



L’uomo per natura cerca di sapere[1]. Ogni uomo e, in qualche modo, ogni generazione cercano la bellezza; però sembra che tra le generazioni siano diversi criteri per dire che una cosa è bella. Che cosa è questo che ci attira e ci appassiona? Cosa è la bellezza? Dove sta la bellezza? Sembra che ogni generazione si fa un’idea di questa, che non è la stessa che quella delle generazioni precedenti. Sarà che la bellezza è soggettiva? Oppure è una realtà d’accordo comune? C’è bellezza? Oppure si dovrebbe parlare di bruteza?
La diversità delle teorie formulate della bellezza si deve alle diverse prospettive a cui è stata considerata. Principalmente tre sono state le posizioni dell’uomo davanti alla bellezza: Alcuni la vogliono produrre, altre la vogliono possedere, e altre la vogliono soltanto contemplare. Il verbo contemplare significa guardare attentamente; e questo è l’azione di applicare la mente con attenzione a un oggetto, materiale oppure spirituale; cioè, avere l’anima assorta nello sguardo e nella considerazione. Ora, l’uomo ha speculato sulla bellezza in tre livelli; cioè le dottrine formulate dall’Estetica, dalla Metafisica e dalla Teologia. L’Estetica ha cercato la bellezza categoriale, dal punto di vista del soggetto che si trova per il giudizio estetico[2].  Invece la Metafisica ha cercato la bellezza trascendentale fondandola ontologicamente nel livello dell’essere, dal punto di vista tanto dell’oggetto come del soggetto.  Da parte sua la Teologia la cerca nel punto più in alto, in Dio, come la Bellezza Perfetta, la Gloria.
La nostra esperienza ci rivela che ci sono esseri belli. La bellezza è quello che visto piace[3].   Peró prima di considerare questa descrizione, indichiamo una considerazione midollare: è stato detto che questo che cerchiamo, cioè, la bellezza, c’è. E lo abbiamo affermato perché il nostro intelletto, nell’esperienza, lo ha concepito come conosciuto. Perciò, la bellezza nella sua esistenza reale si orienta verso un soggetto: il quale è capace di cogliere e si compiace nella sua apprensione. Per questo, il bello, in quanto conosciuto, include polarità. È bello oggettivo nel suo essere lì, ed è, simultaneamente, soggettivo in quanto che è bello per un soggetto che lo contempla.   Detto con maggiore precisione: ciò che è bello include una relazione di ragione, ecco il giudizio estetico. Questa relazione non include necessariamente immanenza in un soggetto. Cioè, il bello non è bello perche qualcuno l’afferma; ma lo afferma perche è bello[4]. 
Prima avevamo detto che la bellezza c’è; e lo avevamo detto perche il nostro intelletto, nell’esperienza della realtà, lo ha concepito come conosciuto[5]. Però ci sono due livelli di bellezza: Categoriale e trascendentale.
Per capire questa distinzione nel tema che ci interessa, possiamo notare, ad esempio, quando vediamo la Pietà di Michelangelo, e ci chiediamo: cosa la fa così bella?  O detto con altre parole, quali caratteristiche o elementi fanno propizia la sua bellezza? Proporzione? Colore? integrità? Tema? Tecnica? Linguaggio artistico? In questo caso cerchiamo la bellezza categoriale o estetica.  Invece, se andiamo più in profondità e ci chiediamo riguardo la bellezza di un essere in quanto essere; in questo caso cerchiamo la bellezza trascendentale[6], la quale è propria di ogni essere secondo il suo proprio livello. Questo vuol dire che si cerca la bellezza che appartiene a tutte le creature[7], però non della stessa maniera. Cioè, che non sono allo stesso livello la bellezza dell’uomo in relazione con la bellezza del caballo; ne la bellezza di un paesaggio in relazione con la bellezza di una pietra; ne la bellezza di una scultura in relazione della bellezza di un fiore.

In breve affermiamo che la bellezza c’è, ed è una realità oggettiva e soggettiva simultaneamente; ora, la sua esistenza dipende dalla parte obiettivo. Sono tre livelli in cui si può parlare di bellezza: livello estetico, livello filosofico e livello teologico. La nostra tesi futura prenderà prima la strada filosófica, poi estetica, e finalmente la teológica.

 


[1] Cfr. Aristotele, Metafisica, libro I.
[2] Baumgarten  ha imposto il nome alla disciplina, ma Kant ha iniziato la sua teoria.
[3] Cfr. T. de Aquino, Summae Theologiae, I, q. 5, a. 4: «pulchra enim dicuntur quae visa placent »; I-II, q.27, a. 3: « pulchrum autem dicatur id cuius ipsa apprehensio placet.».
[4] Se questo è così, perché delle volte alcuni dicono che qualcosa è bella e altri lo negano? La risposta la troveremo quando parlemo piu avanti dei tipi di bellezza.
[5] La bellezza c’è, cioè, è ciò che è. Ciò che è l’ente. Ente è ciò che l’intelletto concepisce per primo. Ciò che è, è l’atto di essere (esse). «L’essere si capisce da ciò che è accidentalmente oppure da ciò che è in se»(Aristóteles, Metafísica, V, 7).  Questo che è in sé, e non in un’altro, è la sostanza.  L’ente non è un genere, per cui, non si può aggiungere qualcosa di reale che si trova al di fuori dell’ente stesso. L’ente ha due tipi di proprietà. Tommaso D’Aquino distingue tra quelle che esprimono un modo particolare di essere, chiamate categorie oppure predicamenti: «uno modo ut modus expressus sit aliquis specialis modus entis»; e quelli che esprimono un modo generale di essere, cioè, che appartengono a tutto l’essere «Alio modo ita quod modus expressus sit modus generalis consequens omne ens» (T. de Aquino, De Veritate, q.1, a.1). Questi ultimi sono quelli che la tradizione scolastica ha chiamato proprietà trascendentali (J. de Finance, Conocimiento del ser, Gredos, Madrid 1971, 96. «El término trascendentales no se encuentra en Santo Tomás». Nota 1, n.26) dell’essere perché trascendono tutte le categorie.
[6] I trascendentali sono concetti, o esseri di ragione, che si riferiscono allo stesso ente. Com’è stato detto non aggiungono nulla di reale all’ente, ma sì aggiungono qualcosa di ragione. Questo primo passo nella dottrina dei trascendentali ci aiuta per capire cosa vogliamo dire quando affermiamo che la bellezza (pulchrum) è un trascendentale (Qui non sviluppiamo la quaestio disputata sulla trascendentalità del pulchrum. Peró questo approffondimento lo si può trovare in: Eco, U., Il problema estetico in Tommaso D’Aquino, Fabbri – Bompiani, Milano 1982. Oppure in Lobato, A., Ser y belleza, Herder, Barcelona 1965. Anche in M. Reyes, Pulchrum, como el culmen del despliegue trascendental del ente, APRA, 2008).
[7] Tutte le creature, e anche al primo motor inmovil, cioè, Dio; però esso non è creatura ma Cratore.



lunedì 3 marzo 2014

ARTE AL SERVIZIO DELLA BELLEZZA


Verso un rinnovato dialogo: «Il legame profondo tra la bellezza e la liturgia deve farci considerare con attenzione tutte le espressioni artistiche poste al servizio della celebrazione»1, benché le espressioni artistiche siano variate in genere, numero e specie. Inoltre lungo la storia, si è formata una visione dell’arte non sempre omogenea. Quello che non si può negare, neanche nella diversità, è che l’infinita bellezza divina e l’arte sacra sono in relazione per le loro nature. Perciò la bellezza deve essere espressa, in qualche modo, dalle opere artistiche dell’uomo destinate alla sfera sacra. Soltanto così sono più orientate a Dio e all’ incremento della sua lode e della sua gloria2. Ora, l’ideale mai ci può astrarre, in senso pieno, dal reale; pertanto con onestà dobbiamo dire che nell’età moderna è stata affermata progressivamente una forma di umanesimo caratterizzato dall’assenza di Dio e delle volte in opposizione a Lui. Questo clima ci ha portato fino al punto di scindere i mondi dell’arte e della fede3, alle volte sembrerebbe in maniera definitiva, perché per alcuni la luce si è spenta. Questo è ragionevole perche fuori dal corpo «la fede perde la sua “misura”, non trova più il suo equilibrio, lo spazio necessario per sorreggersi. La fede ha una forma necessariamente ecclesiale, si confessa dall’interno del corpo di Cristo»4. Eppure anche per quelli che sono al di fuori del corpo la speranza può toccare perché «grazie al sangue di Cristo siete diventati vicini» (Ef 2, 13). Per cui «la vera, grande speranza dell'uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio [...] Chi è toccato dall'amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe “vita”. Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza»5.
La Chiesa cattolica costruisce un ponte con gli artisti. È vero che «le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L'uomo non può mai essere redento semplicemente dall'esterno »6. Nel buio le piccole luci risplendono di più. Il nostro piccolo contributo in questo campo vuol essere il mettere un raggio di speranza, mettendo insieme per mezzo di tre scienze, estetica (arte) , filosofia e teologia; che dialogano con l’uomo d’oggi, quello che già c’era prima nella tradizione. Manca ancora la risposta personale e libera per quelli in cui la luce si è spenta, perché questa speranza mostrata in un’arista di incontro brilla soltanto se è accolta. La nostra non è una novità nel contenuto o nella forma, ma è un’originalità di sintesi.
 
Più prospettiva in: http://spazioetemposacro.blogspot.it/


Foto: G. Gasparro, Altare di San Massimo di Aveia. http://www.giovannigasparro.com/

1 Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, Esortazione Apostolica Postsinodale, n. 41.
2 Cfr. Conc. Vat. II, Sacrosanctum Concilium, Constituzione sulla sacra Liturgia, 122.
3 Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti,n.10.
4 Francesco I, Lumen Fidei, n.22.
5 Benedetto XVI, Spes salvi, Lettera enciclica, n.27.
6 Ibid., n. 25.